PENALE

Coltivazione di stupefacenti: se per uso personale non è reato

avv. Piero Tandura

In presenza di determinate condizioni, la coltivazione di marijuana e, in generale, di sostanze stupefacenti può essere considerata per uso esclusivamente personale e, pertanto, non punibile sul piano penale.

Questo, in estrema sintesi, uno dei passaggi più significativi della sentenza n. 12348 pronunciata dalle sezioni unite della Corte di Cassazione il 19 dicembre 2019 e depositata il 16 aprile 2020, di cui si riporta in calce la massima.

In particolare, la Suprema Corte ha affermato che la non punibilità riguarda tutte le ipotesi di coltivazione di stupefacenti di piccole dimensioni svolte in forma domestica, che, per le rudimentali tecniche agrarie utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile e la mancanza di ulteriori indici che testimonino il loro inserimento nell’ambito del mercato della droga, appaiono finalizzate in via esclusiva al consumo personale di chi le ha lavorate.

La sentenza giunge a tali conclusioni all’esito di un’accurata ed approfondita rivisitazione del reato di coltivazione di stupefacenti, in forza della quale la liceità dell’attività svolta in forma domestica viene ricondotta alla mancanza di tipicità della stessa, la quale, proprio per la presenza delle condizioni che ne denotano l’esclusiva destinazione all’autoconsumo, risulta priva degli elementi costitutivi necessari a qualificarla come penalmente illecita.

Peraltro, considerato che l'attività della coltivazione non rientra tra le condotte previste dall’art. 75 del D.P.R. n. 309 del 1990, alla coltivazione domestica non risultano applicabili neppure le sanzioni amministrative previste da tale norma (sanzioni che consistono nella temporanea sospensione o nel divieto di conseguire: a) la patente di guida, il certificato di abilitazione professionale per la guida di motoveicoli e il certificato di idoneità alla guida di ciclomotori; b) la licenza di porto d’armi; c) il passaporto e ogni altro documento equipollente; d) il permesso di soggiorno per motivi di turismo). 

Attenzione però: alla luce di quanto evidenziato, non bisogna supporre che la coltivazione per uso personale vada esente da ogni conseguenza. Come puntualizzato dalla Cassazione, infatti, chi viene sorpreso nel possesso dei pochi grammi di sostanza prodotta dalle piante che ha coltivato andrà comunque incontro all'irrogazione delle sanzioni amministrative previste dall’art. 75 D.P.R. 309/1990. In altri termini, se è lecito coltivare delle piante di marijuana per soddisfare il proprio consumo, rimane illecito amministrativo il fatto di detenere i frutti di tale coltura. 

La sentenza, inoltre, affronta il tema delle coltivazioni di stupefacenti di maggiori dimensioni, aventi carattere industriale o commerciale.

Nello specifico, secondo la Corte la punibilità come reato di tali colture viene a dipendere dalla loro offensività in concreto, ossia dalla idoneità delle stesse a produrre sostanza drogante capace di mettere in pericolo la salute delle persone.

Anche nei casi di piantagioni di grandi estensioni, dunque, l’illecito penale non potrà ritenersi configurato:

1) se, in presenza di piante ancora in fase di crescita, sia possibile ritenere che le stesse non potranno mai realizzare il prodotto finale drogante perché sono state coltivate con modalità del tutto inadeguate;

2) se, in presenza di piante giunte a completa maturazione, venga accertato che il risultato finale della coltivazione abbia un contenuto troppo povero di principio attivo, tale per cui non sia possibile destinarlo all’uso di droga.

La sentenza in esame segna senz’altro un fondamentale punto di svolta, in quanto determina il superamento dell’orientamento tradizionale fino ad oggi prevalente, secondo cui l’attività di coltivazione di piante stupefacenti doveva ritenersi sempre penalmente rilevante, senza distinzioni, anche qualora destinata in via esclusiva all’autoconsumo del coltivatore.

Rimangono tuttavia alcune questioni aperte, che in futuro dovranno essere affrontate dagli interpreti. Su tutte, il problema della definizione dell’aspetto dimensionale delle coltivazioni e della quantità di prodotto drogante dalle medesime ricavabile. Come sopra segnalato, infatti, si tratta di due indicatori fondamentali ai fini di stabilire la presenza o meno di una coltivazione finalizzata all’uso personale e dunque penalmente lecita.

 

Corte di Cassazione, Sezioni unite, 19 dicembre 2019 (dep. il 16 aprile 2020), n. 12348.

"Il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, essendo sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente; devono però ritenersi escluse, in quanto non riconducibili all’ambito di applicazione della norma penale, le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che, per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore".  

Lesioni stradali ed ebbrezza alcolica: la revoca della patente non è automatica

avv. Piero Tandura

Alla condanna per i reati di lesioni stradali (art. 590-bis cod. pen.) od omicidio stradale (art. 589-bis cod. pen.) non consegue necessariamente l’applicazio- ne automatica della sanzione accessoria della revoca della patente, nemmeno nel caso in cui il conducente del veicolo venga sorpreso a guidare in stato di ebbrezza: in detta ipotesi, infatti, qualora l’alterazione alcolica riscontrata rientri tra le ipotesi meno gravi, il giudice può applicare la diversa – e più mite – sanzione della sospensione temporanea della patente.

Lo ha affermato la IV Sezione penale della Corte di Cassazione con sentenza n. 10680 del 4 dicembre 2019 (dep. il 27 marzo 2020). In particolare, nel sostenere tale principio, la Suprema Corte si è richiamata alla nota sentenza n. 88/2019 della Corte Costituzionale, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 222, comma 2, quarto periodo, del codice della strada, nella parte in cui tale norma non prevedeva che, in caso di condanna, ovvero di sentenza di patteggiamento, per i reati di lesioni stradali e omicidio stradale, il giudice potesse disporre, in alternativa alla revoca della patente di guida, la sospensione della stessa allorché non ricorressero le particolari aggravanti della guida in stato di ebbrezza alcolica oltre una certa soglia di tasso alcolemico (superiore a 1,50 g/l per i conducenti comuni - art. 186, comma 2, lett. c, C.d.S. - e a 0,8 g/l per i conducenti di età inferiore a 21 anni, per i neo-patentati e per gli autisti professionali - art. 186-bis C.d.S -) o sotto l'effetto di stupefacenti previste dai rispettivi commi secondo e terzo degli artt. 589-bis e 590-bis del codice penale.

In buona sostanza, prima del richiamato intervento della Corte costituzionale, il comma secondo dell’art. 222 del codice della strada, così come modificato nel 2016, stabiliva che alla condanna per omicidio o lesioni stradali seguisse la revoca automatica della patente.

Tale automatismo sanzionatorio trovava applicazione in maniera indiscriminata, a fronte, cioè, di condotte caratterizzate da un diverso livello di gravità: subiva infatti la revoca della patente non solo l’automobilista risultato gravemente intossicato da sostanze alcoliche, ma anche chi avesse assunto pochi grammi di alcool così come colui che avesse causato il sinistro solamente per distrazione od imprudenza.  

A tale situazione ha quindi posto rimedio la Corte costituzionale, secondo cui la revoca automatica della patente risulta giustificabile solo nel caso di omicidio stradale o di lesioni stradali conseguenti a condotte particolarmente gravi, qual è quella della guida con un tasso alcolemico superiore a 1,50 g/l, ovvero a 0,8 g/l per specifiche categorie di conducenti (infraventunenni, neo-patentati e autisti professionali). Al di sotto di questo livello o, addirittura, in assenza di intossicazione alcolica, vi sono comportamenti pur gravemente colpevoli ma in misura inferiore, sicché l'automatismo della revoca non si giustifica e deve cedere il passo alla valutazione discrezionale del giudice, il quale, pertanto, in ragione delle circostanze del caso concreto, potrà ritenere sufficiente la misura temporanea della sospensione della patente.

La sentenza in commento fa dunque corretta applicazione dei principi affermati dal giudice delle leggi. Con tale decisione, infatti, la Cassazione ha annullato la sentenza impugnata, con la quale il tribunale, nel condannare un automobilista per il reato di lesioni stradali, aveva irrogato la sanzione della revoca automatica della patente a fronte del riscontro di un tasso alcolemico inferiore ad 1,50 g/l, tasso che non giustificava un siffatto automatismo sanzionatorio.

 

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 4 dicembre 2019 – 27 marzo 2020, n. 10680.       
Presidente Di Salvo – Relatore Bellini

Considerato in fatto

1. Il Tribunale di Piacenza, su richiesta dell’imputato cui aveva prestato consenso l’ufficio del pubblico ministero, applicava a C.D. per il reato di lesioni stradali di cui all’art. 590 bis c.p. la pena di un mese giorni dieci di reclusione con applicazione della sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida.              
2. Avverso la sentenza è insorta la difesa dell’imputato, deducendo violazione di legge assumendo in primo luogo la errata qualificazione giuridica del fatto ascritto che andava ritenuto ipotesi aggravata della fattispecie di cui all’art. 590 c.p. che pertanto necessitava della querela ai fini della procedibilità in presenza di conseguenze dannose tenui, e in secondo luogo per inosservanza del disposto dell’art. 222 C.d.S., comma 2, relativamente alla ritenuta impossibilità da parte del giudice di graduazione della sanzione amministrativa accessoria in ragione di un irragionevole automatismo sanzionatorio tra la perpetrazioni dei delitti di cui all’art. 589 bis c.p. e art. 590 bis c.p. con l’applicazione della revoca della patente di guida.

Considerato in diritto

1. La sentenza impugnata deve essere annullata, limitatamente alla deduzione concernente la sanzione amministrativa accessoria disposta dal Tribunale.
Invero la Corte Costituzionale (con sentenza n. 88/2019), conformemente a quanto prospettato dalla difesa del ricorrente, ha pronunciato la illegittimità costituzionale dell’art. 222, comma 2, quarto periodo laddove non prevede la possibilità per il giudice di disporre, in alternativa alla sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida, quella temporanea della sospensione, qualora ricorrano le ipotesi meno gravi (come quella per cui si procede) diverse dalla guida in stato di ebbrezza con valori particolarmente elevati e di guida in stato di alterazione da sostanze stupefacenti, eliminando, per tali evenienze, l’automatismo sanzionatorio originariamente previsto dalla norma.    
2. Ne consegue pertanto l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente alla scelta della sanzione amministrativa accessoria da applicare, con rinvio al Tribunale di Piacenza per nuovo esame.  
3. Assolutamente infondata è invece la doglianza concernente l’errore nella qualificazione giuridica del fatto reato e della conseguenze richiesta di derubricazione dello stesso in ipotesi riconducibile all’art. 590 c.p., così da ritenersi necessaria la condizione di procedibilità della querela.            
Invero è pacifico insegnamento del S.C. che le fattispecie tipizzate negli artt. 589-bis e 590-bis c.p. (omicidio stradale e lesioni personali stradali gravi e gravissime), introdotte dalla L. 23 marzo 2016, n. 41, art. 1, costituiscono ipotesi autonome e non aggravate dei reati di omicidio colposo e lesioni colpose (sez.IV, 1.3.2017, Venni Rv.270918), e che in relazione a quest’ultima fattispecie ricorre altresì il paradigma delle lesioni gravi (in quanto guarite dopo i quaranta giorni) e che pertanto non è necessaria la condizione di procedibilità della querela (sez.IV, 24.5.2018. PM in proc. Bertani, Rv.273409).

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla revoca della patente di guida e rinvia per nuovo giudizio sul punto al Tribunale di Piacenza. Rigetta nel resto il ricorso.